Attraverso questo itinerario scopriremo dove nacque Marco Polo, il mercante, primo europeo a scoprire la Cina. Vedremo il gioiello del Rinascimento della Madonna dei Miracoli.
Conosceremo l’ultima opera del maestro di Leonardo da Vinci e Botticelli. Ed a fianco del Pantheon Veneziano troveremo la meravigliosa facciata della Scuola Grande di San Marco che conserva un’opera prima di prospettiva marmorea.
Attraverseremo il portico dove la fede del popolo del quartiere fermò la peste e altre epidemie.
Incontreremo un palazzo a forma di nave ed una libreria dentro una gondola.
E dal luogo dove nacque il Mito di San Marco, annunciato nel Libro del “Leone Alato” ci ritroveremo di fronte ad una vera “Bocca di leone”, per le denunce del ‘600.
Passeremo per la calle più stretta di Venezia per trovarci di fronte all’Arsenale, la più grande fabbrica d’Europa del ‘500. Dove fa da guardia un leone greco, che porta addosso una misteriosa frase in alfabeto Runico.
Termineremo davanti alla casa di Giovanni Caboto, meglio conosciuto come John Cabot, scopritore del Canada.
Qui potrete degustare i cicheti, delizie della storia e cultura veneziana.
Spesso passeggiando per Venezia si potrà leggere il nome Malvasia. Nome che indica vino ma anche i luoghi dove si vendeva. Soprattutto il vino più raffinato, quello che arrivava via mare.
Ma vari erano i luoghi dove trovare un buon vino.
Tuttora il Veneto è terra di vini: Amarone, Prosecco, Bardolino, Valpolicella, Raboso, Recioto, Lugana, Soave, Gambellara, Vespaiolo, E Venezia è luogo di scambi, commerci, ma, essendo senza auto, soprattutto di incontri. E per questo non ci si siede a Venezia. Si coglie l’attimo di una chiacchera al bancone del “Bacaro” (Definizione ottocentesca di osteria dove si può bere un buon vino).
Si beve “un’ombra” (bicchiere di vino) o per aperitivo uno Spritz ( inizialmente solo vino bianco e seltz ed ora arricchito o di Aperol, o Campari, o Select, o Cynar).
Ma visto i molteplici incontri che si fanno, è d’obbligo ordinare anche qualche “cicheto” ossia una porzione dei piatti tipici che si trovano al banco, che corrisponde a qualcosa in più di un assaggio.
La quantità ideale è che ti accompagni al prossimo bicchiere, o perlomeno al prossimo incontro…
Il Baccalà a Venezia è lo stockfish, ovvero quello essiccato mentre nel resto d’Italia viene inteso quello conservato sotto sale. Tutto questo grazie ad un naufragio.
Il mercante veneziano Pietro Querini era diretto con la sua nave in Belgio, quando venne travolto da varie tempeste. Dopo 9 mesi, ormai con pochi marinai superstiti, la corrente lo trascinò su un’isola dello sperduto arcipelago delle Lofoten in Norvegia. Era il 14 gennaio 1432. Qui vide distese di pesci lasciati a seccare al sole e ai venti freddi. Vi rimase 4 mesi e poi ripartì.
Al suo ritorno a Venezia, dopo altri 5 mesi, il 12 ottobre 1432, si presentò davanti al doge, assieme alla relazione del viaggio, con questi sconosciuti pesci “bastone”.
Per preparare il baccalà mantecato si deve reidratarlo, anche una settimana con acqua fredda (che va cambiata spesso). E meglio se prima lo si sbatte forte e ripetutamente (come facevano i pescatori norvegesi fin dai tempi di Querini).
Una volta che il Gadus Morhua (è il nome scientifico del nostro baccalà) ha ripreso identità, lo si mette in una pentola con mezzo limone e uno spicchio d’aglio e 3 pizzichi di sale.
Dopo 10 minuti di bollore, lo si lascia riposare altri 20 minuti nella sua acqua. Dopodiché si eliminano lische e parti ossee.
Lo si mette in una ciotola alta, fatto a pezzetti e lentamente si comincia sbatterlo con un cucchiaio di legno in movimenti circolatori (mantecare) facendogli colare un filo d’olio continuo (meglio non di oliva perché ha un sapore troppo forte).
Lo si aggiusta di sale e si continua a sbattere fino a renderlo cremoso. Mantecare deriva dallo spagnolo manteca o dal portoghese manteiga che significa burro. Per ottenerlo lo si doveva sbattere a lungo fino a separare completamente la materia solida da quella liquida.
Qui il processo è inverso ma il lavoro manuale è abbastanza simile.
Per questo, per velocizzare i processi si utilizzano i robot da cucina e altre scorciatoie.
Ma per arrivare ad un autentico baccalà ci vuole tanta pazienza, come ci insegna anche il nostro buon Querini.
Nasce sicuramente prima del 1940, ma non si sa bene in quale cucina tra Veneto e Friuli.
Ora ha conquistato il mondo per la sua bontà. Non si può resistergli e il nome indica che può essere un toccasana per ricaricarsi di energia!
400g savoiardi/500g mascarpone/4uova/180g zucchero/300 ml caffè / cacao amaro.
Prendere un vassoio con bordi alti e preparare uno strato con biscotti Savoiardi bagnati per metà nel caffè.
In una terrina separare i rossi d’uovo e sbatterli con lo zucchero finché si crea una crema. Si aggiunge nella terrina prima il mascarpone, incorporandolo bene ed infine, con movimenti circolatori, lenti e ariosi, gli albumi montati a neve.
Versiamo metà crema sopra i savoiardi e poi ripetiamo un altro strato di savoiardi bagnati col caffè e versiamo l’altra metà crema.
Si termina spolverando e coprendo con cacao amaro. Si mette in frigo e lo si lascia riposare qualche ora prima di gustarlo.
La leggenda vuole che sia nato per ristabilire gli amanti dopo un incontro amoroso. Per questo nelle dosi vi lascio libertà di aggiustarlo pure a vostro piacere. Il Tiramisù più che di matematica è una questione di passione…
Fu il sale la prima moneta di Venezia.
Già in epoca Romana era ricca di pesci, uccelli e fertili orti.
Da qui transitavano olio e vino.
E nel 1082, ottenne dall’Imperatore Bizantino l’esenzione da imposte e dazi.
Così da qui, tutta Europa si riforniva di (oggi meno ma allora preziossime) spezie: pepe, cannella, chiodi di garofano, noce moscata, macis, zenzero, cardamomo, coriandolo, senape.
I mercanti veneziani inventarono il “Packaging”.
Crearono monopoli, come quello dello zucchero, coltivato a Cipro.
Ed erano veloci precursori, dotati della prima dote del commercio: il tempo.
Come con il caffè, arrivato a Venezia attorno al 1560, quasi 1 secolo prima del resto d’Europa.